MANFREDI Pg. III, 103
cit. Pg. IV, 14
Antipurgatorio - negligenti, scomunicati

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Figlio naturale di Federico II di Svevia, Manfredi nacque nel 1232 circa.

Quando, nel 1250, il padre morì, prese saldamente il controllo del regno di Sicilia e dell'Italia Meridionale, fino all'arrivo di Corrado IV, l'erede legittimo, dalla Germania.
Alla morte di questi, Manfredi, già nominato reggente del piccolo Corrado V, si fece nominare re di Napoli e di Sicilia e venne incoronato a Palermo nel 1258, continuando la politica paterna di opposizione al potere temporale del papato e di sostegno alle fazioni ghibelline italiane.


Giunse presto la scomunica ad opera di papa Innocenzo IV, tutore di Corradino, ma la contrapposizione fra Manfredi ed il papato continuò anche con i papi successivi, Alessandro IV e Urbano IV, finchè quest'ultimo, francese di nascita, chiamò Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia, ad occupare il regno di Napoli. Clemente IV, infine, salito al soglio pontificio alla morte di Urbano IV, legalizzò l'occupazione francese riconfermando l'incoronazione di Carlo d'Angiò re di Napoli. Appoggiato dalle forze guelfe italiane, Carlo si scontrò a Benevento con l'esercito di Manfredi, nel 1266. Manfredi combattè valorosamente, ma cadde sul campo: i suoi resti, che i soldati francesi avevano ricoperto di pietre ("grave mora" Pg. III, 129), furono dissepolti per ordine del vescovo di Cosenza e sparsi oltre il fiume Liri, lontano, perchè di uno scomunicato, anche dal territorio dello stato della Chiesa.
Quest'ultimo episodio non sembra avere veridicità storica, ma consente al poeta di porre in risalto la contrapposizione fra la bontà divina, che perdona i peccati di Manfredi, e la persecuzione operata, dopo la sua morte, dal papa e dal vescovo. Manfredi morì in stato di scomunica ed era opinione corrente che la sua anima fosse dannata ("s'altro si dice" Pg. III, 177) anche se circolavano leggende circa la conversione in punto di morte e quindi la salvezza eterna del figlio di Federico II.

Pg. III, 122-123
La bontà divina ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei

La figura di Manfredi quale emerge dal testo dantesco è quella della vittima della politica temporale del papato e dell'improprio uso a fini politici dell'istituto, tutto religioso e spirituale, della scomunica. Al tema dell'imperscrutabilità del pensiero divino e della necessità di abbandonarsi ad esso, tema comune a tutto l'Antipurgatorio, si aggiunge, nella figura di Manfredi, il tema dell'inutilità dell'odio umano e del valore della magnanimità.
Manfredi e suo padre Federico, infatti, sono per Dante (De Vulgari Eloquentia I xiii,4) gli ultimi veri principi italiani, consapevoli del loro ruolo di promotori, nell'ambito della loro corte, di quanto di meglio potesse esprimere l'umano ingegno. Manfredi, inoltre, riassume in sè tutti gli attributi dell'ideale cavalleresco: la bellezza, la nobile discendenza, la giovinezza (vera anche sul piano storico, dato che la parabola politica di Manfredi si svolse fra i 18 ed i 34 anni).