Personaggi citati
Diana
Pg. XXV,131; Delia, per luna Pg. XXIX,79; li due occhi del cielo (luna) Pg. XX,132;
(figlia di Latona) Pd. X,67; (i figli di Latona) Pd.XXIX,1

menu dei personaggi citati
menu principale


Diana, corrispondente, anche se non perfettamente, alla greca Artemide, era, per il mondo romano, la dea della caccia e della castità.
Diana era venerata soprattutto nelle selve e nei luoghi incolti ed a lei è legato l'antichissimo mito del ramo d'oro. Secondo questo mito in un bosco di querce situato nei pressi del lago di Nemi cresceva un albero che produceva del vischio.

Qualsiasi schiavo fuggitivo fosse riuscito a raggiungere questo albero e a cogliere il "ramo d'oro" acquisiva il diritto di sfidare in combattimento il sacerdote di Diana: se poi riusciva ad ucciderlo diveniva, al suo posto, il re del bosco, il "rex nemorensis", solo però fin quando un altro non fosse riuscito a strappare un ramo d'oro dalla quercia sacra a Diana.

La divinità a lei corrispondente nel mondo greco, Artemide, nacque a Delo (Pg., XXIX, 79), figlia di Zeus e di Latona e sorella gemella di Apollo. Con una splendida immagine Dante la identifica in uno dei due occhi del cielo, la Luna (Pg., XX, 132).

Secondo il mito la dea guidava i cori delle Muse, ed a lei Agamennone, che era al comando dell'esercito greco, sacrificò la figlia Ifigenia prima di salpare verso Troia. La dea dei boschi però sostituì una cerva alla fanciulla, che venne portata in Tauride.

Fra gli esempi di lussuria punita gridati dalle anime nella settima Cornice del Purgatorio, Dante (Pg., XXV, 131) ricorda il mito, probabilmente letto in Ovidio (Met. II, vv. 401 e sgg.), secondo il quale Diana, per preservare la purezza della sua dimora nei boschi, allontanò una sua seguace, la ninfa Elice o Callisto, che era stata sedotta da Giove.