MICHELE SCOTTO Inf. XX, 115
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Michele Scoto fu scienziato, filosofo, astronomo, astrologo, alchimista ed indovino, e visse fra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII. Incerto è il luogo della nascita: per alcuni il secondo nome "Scoto", cioè "scozzese" indicherebbe la sua origine nord-europea, per altri invece sarebbe nato a Salerno, per altri ancora a Toledo.

Nel 1220 Michele Scoto si trovava in Italia dove ottenne benefici ecclesiastici prima da Onorio III e poi Gregorio IX.
In seguito, accostatosi alle posizioni politiche di Federico II, venne nominato astrologo di corte e all'imperatore stesso dedicò nel 1230 la sua versione in latino del "De animalibus" di Aristotele, un trattato di zoologia utile all'imperatore per i suoi studi sulla falconeria. Sempre per il sovrano scrisse un'opera di astrologia divisa in tre parti, dove, accanto ad una concezione ortodossa di Dio e degli angeli, sono descritte una serie di pratiche superstiziose di imprecisata origine orientale.
La sua vasta opera di traduzione contribuì notevolmente a far conoscere il pensiero aristotelico e la filosofia araba in Occidente.
Federico era solito chiedere il suo consiglio su ogni questione importante e di difficile soluzione, ed anche spiegazioni sull'origine di fenomeni naturali che destavano la curiosità dello spirito arguto del sovrano.
In alcune lettere, infatti, l'imperatore si rivolge a Michele Scoto, definendolo "preziosissimo fra i miei Maestri".

A Michele Scoto vennero attribuite, inoltre, numerose profezie, anche sulle vicende politiche di alcune città italiane.

Dante lo considera, tuttavia, soprattutto un astrologo ciarlatano ed un impostore, capace di servirsi della magia per ingannare il prossimo, ("de le magiche frode, cioè della frode per mezzo della magia, Michele seppe 'l gioco, cioè la pratica") anche se, durante il Medioevo, l'astrologia e la magia erano equiparate alle altre discipline scientifiche, oggetto di studi serissimi e tenute in grande considerazione.

Michele Scoto morì verso il 1236 a causa del crollo della volta di una chiesa.
L'immaginario popolare si impadronì presto della sua figura, tramandando in forma di leggenda la sua morte.
Come tutti gli indovini, Michele conosceva ciò che avrebbe provocato la sua morte: girava, così, sempre con un elmetto ed evitava i luoghi dove potessero verificarsi delle sassaiole. Ma come per tutti gli indovini, anche per Michele la sua arte risultò inutile a proteggerlo dalla morte: proprio mentre si scopriva il capo al momento della consacrazione eucaristica, infatti, una pietra si staccò dal soffitto della chiesa colpendolo a morte.