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Firenze
A Firenze, sul finire del 1200, l'intenso sviluppo delle libere professioni e del commercio aveva condotto gradualmente ad una limitazione del potere delle famiglie nobili e al ridimensionamento della loro influenza e dei loro patrimoni.
Nuove classi di artigiani e di imprenditori, oltre agli esponenti delle famiglie di "piccola nobiltà" del contado, erano giunte a Firenze ed avevano reso più vivace la vita cittadina, che li attraeva con la possibilità di facili guadagni e ne soddisfava il desiderio di salire la scala sociale.
In questa atmosfera di fermento nacque, nel 1265, da Bella e Alighiero II, Dante Alighieri.


La Famiglia Alighieri
Le notizie a noi giunte sulla famiglia di Dante sono scarse e, per la maggior parte, ci sono state trasmesse dal poeta stesso nella Divina Commedia.
Dante volle riallacciare le sue origini ad una mitica radice romana, valida portatrice dei valori dell'Impero, rispondente ai disegni della Provvidenza.
Le notizie più consistenti sulla famiglia degli Alighieri le apprendiamo però nel Paradiso, quando Dante ci presenta il suo trisavolo, Cacciaguida, e ricorda che partecipò alla II Crociata, in Terrasanta, dove fu "armato" cavaliere dall'imperatore Corrado III di Hohenstaufen e morì poi combattendo. Cacciaguida aveva sposato una Alighieri di Ferrara, e, in omaggio al suocero, chiamò il suo primogenito Alighiero, e da questi derivò il "cognomen" alla famiglia.
Figlio di Alighiero fu Bellincione, a sua volta padre di un secondo Alighiero, il padre di Dante.
La famiglia si era intanto trasferita dal quartiere del Mercato Vecchio al quartiere di San Martino del Vescovo, dove appunto il poeta nacque.


Gli anni della formazione
Le risorse economiche dei genitori di Dante erano scarse, eppure egli potè, in gioventù, fare vita elegante nelle cerchie della Firenze "cortese" ed attendere a buoni studi.
Non sappiamo molto sugli studi di Dante e ciò che sappiamo è dedotto dalle conoscenze che egli dimostra di possedere.
Certo la base della sua cultura era ispirata dall'ambiente francescano, in particolare delle teorie di S.Bonaventura, ma non è certamente vera la notizia data da Francesco Buti quanto ad un suo noviziato francescano.
I primi studi li intraprese in una delle tante scuole di un "doctor puerorum" e seguì, poi, i corsi di istruzione superiore delle Arti del Trivio e del Quadrivio.
Qui egli si accostò allo studio della Bibbia, delle opere di S. Agostino e dei classici latini (Lucano, Virgilio, Ovidio, Orazio).
Ma nella Vita Nuova e nelle opere giovanili Dante mostra di conoscere, e non superficialmente, anche Bernardo di Chiaravalle, Bonaventura, i poeti italiani ed i maggiori esponenti della poesia provenzale.
L'amicizia di Guido Cavalcanti, basata sulla comune sensibilità poetica, lo introdusse alla conoscenza dell'aristotelismo filtrato attraverso le interpretazioni averroistiche e neoplatoniche.
L'insegnamento di Brunetto Latini lo mise in contatto con gli strumenti di base della retorica e con la poesia francese.
La vivace vita culturale di Firenze lo avvicinò alla scanzonata vena dei poeti comico-realistici, sul cui modello egli compose le sue prime rime comiche.
Dante, tuttavia, fu profondamente segnato dagli studi filosofici svolti alla scuola dei Domenicani, e soprattutto dalla conoscenza approfondita dell'opera e del pensiero di S. Tommaso e di S. Agostino.


La battaglia di Campaldino
Nel 1289 Dante partecipò alla battaglia di Campaldino, nella quale gli uomini della Firenze guelfa si scontrarono con gli armati della Firenze ghibellina: in seguito egli fu tra i quattrocento cavalieri che andarono a rafforzare la lega guelfa contro Pisa ed infine partecipò alla presa del castello di Caprona.

Inf. .XXI,94-96
Così vid'io già temer li fanti
ch'uscivan patteggiati di Caprona,
veggendo sè tra nemici cotanti...

Beatrice
L'evento fondamentale della maturazione umana e poetica di Dante è l'incontro con Beatrice, la figlia di Folco Portinari andata poi sposa a Simone de' Bardi. Il poeta racconta di averla conosciuta all'età di nove anni, un numero che, nell'interpretazione numerologica, identifica il miracolo.
Nella Vita Nuova Dante descrive il suo amore come un sentimento che abbandona progressivamente ogni aggancio con la realtà terrena, cessando di essere una vicenda sentimentale, se pur stilizzata al massimo grado, per divenire amore-virtù, introspezione ed ascesa spirituale.
Beatrice morì l'8 giugno del 1290, aprendo una profonda ferita nell'animo di Dante.
Il rammarico per non aver saputo amare nel modo corretto quella creatura perfetta e di essersi lasciato portare verso altri amori futili fece cadere il poeta in una profonda crisi. Per trovare consolazione, egli si dedicò, negli anni seguenti, agli studi filosofici.


Lo studio della filosofia
Dante intraprese lo studio della filosofia presso la scuola dei Domenicani di Santa Maria Novella.
Altre scuole analoghe si trovavano a Firenze, presso i Francescani di Santa Croce e gli Agostiniani del Santo Spirito e non è escluso che il poeta le abbia frequentate.

Dante pose al centro delle sue riflessioni il problema etico, legato alla tematica del conseguimento della felicità. Gli echi di questi studi si notano nelle poesie dottrinali ed allegoriche, alcune delle quali furono in seguito commentate nel Convivio.
Dante, tuttavia era fortemente sollecitato anche dalle problematiche politiche della sua epoca. Inevitabilmente il suo interesse politico e la sua ricerca intellettuale dovettero convergere.


La vita politica
A partire dal 1295 Dante ebbe parte attiva nella vita politica di Firenze.
Nel febbraio di quell'anno cadde in disgrazia Giano della Bella, che, nel 1293 con gli Ordinamenti di Giustizia, aveva escluso i Grandi, cioè i cittadini appartenenti alla nobiltà, dalle cariche pubbliche.
Tutti tornarono così ad avere libero accesso al governo, anche se i membri della nobiltà potevano venire eletti solo a condizione che si iscrivessero ad una delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri.
Dante entrò a far parte della Corporazione dei Medici e degli Speziali, che scelse per l'affinità che esisteva, al suo tempo, tra filosofia e medicina.
Nel 1300 Dante fu Priore e proprio in quell'anno dovette firmare, con la morte nel cuore, la condanna all'esilio dell'amico Guido Cavalcanti.
Guido, che apparteneva ad una famiglia di antica nobiltà, non potè accedere alle cariche pubbliche, ma prese ugualmente parte alle vicende politiche della città, a volte in modo vivacemente sopra le righe.
Nel 1296 aveva tentato, infatti, di uccidere pubblicamente Corso Donati, feroce capo dei guelfi Neri e, quando nel 1300 scoppiarono ancora una volta gravi disordini in città, venne esiliato a Sarzana.


La condanna all'esilio
Con il sostegno di Carlo di Valois i Neri presero il sopravvento: i fuoriusciti rientrarono in città e la sottoposero ad un feroce saccheggio, quindi emanarono una serie di provvedimenti volti a consolidare il potere della propria fazione, fra cui le condanne all'esilio degli esponenti più in vista della parte bianca.

Mentre i Neri prendevano il controllo politico di Firenze, Dante non si trovava in città; nel 1301, infatti, era stato inviato come ambasciatore a Roma presso papa Bonifacio VIII.
Il 27 gennaio 1302 fu condannato con la falsa accusa di interesse privato in atti pubblici a due anni di confino, ad una multa di 500 fiorini e alla esclusione perpetua dagli uffici pubblici. Dante non rispose all'invito del podestà a difendersi dalle accuse e così alla prima sentenza ne seguì una seconda, con cui, il 10 marzo 1302, il poeta fu definitivamente condannato ad essere arso sul rogo se fosse tornato a Firenze.
Dante prese così la via dell'esilio, durante il quale, se pure conobbe altri compagni di partito, non tentò alcuna azione politica concreta. Presto si distaccò da tutti gli altri esuli fiorentini e rifiutò ogni successiva proposta di umiliante rientro in città.
Quando Enrico (Arrigo) VII discese in Italia nel 1310, Dante sperò che, grazie a lui, il conflitto fra Chiesa ed Impero si potesse sanare e, pieno di entusiasmo, inviò lettere ai principi italiani per perorare la sua causa. Firenze, ancora una volta in contrasto con il suo poeta, avversò l'imperatore tedesco, che tuttavia morì a Buonconvento, presso Siena, già nel 1313.
Il 6 novembre 1315 al poeta ed ai suoi figli venne riconfermato il bando da Firenze, pena la condanna a morte.

Gli anni dell'esilio trascorsero di corte in corte, sotto la protezione dei nobili signori italiani. Dante ricoprì incarichi vari ed attese principalmente alla composizione della Divina Commedia.
Ma il poeta ormai sapeva bene "sì come sa di sale / lo pane altrui e come è duro calle / lo scendere e 'l salir per l'altrui scale" (Pd. XVII, 58-60). Gli ultimi anni della sua vita li trascorse a Verona, confortato dalla stima e dall'amicizia di Cangrande della Scala, quindi in Toscana, protetto da Uguccione della Faggiola.
Morì infine a Ravenna, nella notte fra il 13 ed il 14 settembre 1321.