Il tempo di Dante

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In Europa
Negli anni della vita di Dante (1265-1321) giunge ad un punto di svolta la contrapposizione fra Papato ed Impero. Nascono gli stati nazionali e, all'interno dei comuni italiani, tende ad affermarsi un assetto politico di tipo oligarchico, che vede al governo le ricche famiglie borghesi.
Alcuni fenomeni, caratteristici di questo periodo, sono ben individuabili:

  • Prima del Mille inizia un incremento demografico che, proseguendo per tutto il corso del XIII secolo, provoca un aumento della domanda di prodotti alimentari e di manufatti. Nascono quindi nuove forme di contratto agrario e nuove tecniche di coltivazione e si determina lo sviluppo della industria manifatturiera, i cui prodotti vengono smistati da un commercio che estende le sue vie a territori sempre più vasti.

  • Le città si ripopolano e le mura vengono via via allargate: quelle di Firenze, ad esempio, di origine romana, sono ampliate nel 1173 e poi nel 1284.
    All'interno dello spazio cittadino si intensificano sia la produzione artigianale che le attività bancarie. L'atmosfera piena di vita dei grandi centri non solo attrae gruppi di uomini dal contado, ma richiama anche la "piccola nobiltà", che impiega le sue rendite in attività mercantili, piuttosto che nel mantenimento delle proprietà terriere. Viene sancita, così, l'influenza della città sul contado.

  • Fa da sfondo allo sviluppo della civiltà comunale la lotta fra Impero e Papato, istituzioni di carattere universale, ma ambedue in profonda crisi. Bonifacio VIII, con la bolla "Unam Sanctam", del 1302, tenta un'ultima affermazione della supremazia dell'autorità papale su quella imperiale. Nello stesso tempo la discesa in Italia di Enrico (Arrigo) VII (1310-1313) rappresenta l'estremo quanto inutile tentativo di riaffermare l'universalismo imperiale sulla crescente autonomia dei comuni.

  • Si assiste successivamente all'affermarsi, nelle realtà comunali, del potere di singoli gruppi familiari emergenti e questo comporta la progressiva trasformazione in Signorie, governate da personalità che spesso godevano di un largo consenso e potevano quindi muoversi con notevole autonomia.


A Firenze
Gli eventi internazionali si mescolarono, nella vita politica e sociale fiorentina, ai nuovi contrasti fra la vecchia nobiltà cittadina e la nuova aristocrazia dei ricchi, organizzata nelle Corporazioni.
Nel 1248 l'aristocrazia ghibellina aveva vinto i guelfi con l'appoggio di Federico II. Il potere ghibellino, tuttavia, dopo appena due anni venne abbattuto e solo nel 1260, con la battaglia di Montaperti potè tornare al governo di Firenze.

In seguito approfittando del momento di sbandamento dei Francesi a causa dei Vespri Siciliani, i magnati fiorentini imposero il governo delle cosiddette "arti maggiori", espressione degli interessi delle classi nobiliari. Ad essi si oppose Giano della Bella, che, nel 1293 con gli Ordinamenti di Giustizia, escluse i nobili dalla vita politica.
Nel febbraio del 1295 cadde Giano della Bella in disgrazia e gli Ordinamenti di Giustizia furono revocati.
Tutti tornarono così ad avere libero accesso al governo, anche se i membri della nobiltà potevano venire eletti solo a condizione che si iscrivessero ad una delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri.


Presupposti
Clemente IV, per contrastare le pretese di Manfredi, figlio naturale di Federico II, sul regno di Sicilia, chiamò in Italia Carlo I d'Angiò e già dal 1263 lo incoronò solennemente re di Napoli.
Durante la battaglia di Benevento del 1266, nello scontro con le truppe congiunte dello stato della Chiesa e di Carlo I d'Angiò, perse la vita Manfredi, figlio naturale ma degno erede dello spirito e della politica del padre Federico II.
Due anni dopo a Tagliacozzo le truppe francesi ebbero ragione dell'esercito tedesco di Corrado V di Svevia. A seguito della sconfitta, Corradino fu catturato e, consegnato a Carlo I d'Angiò, venne decapitato sulla piazza del mercato a Napoli a soli 16 anni.
In seguito a questi eventi si arenò il progetto di riportare il Sacro Romano Impero alla sua originaria dimensione europea, restituendogli la dignità di superiore potere temporale da affiancare al potere spirituale della Chiesa. Questo era stato il progetto del Barbarossa prima e del nipote Federico II poi. Da questo momento non si potè più parlare di Guelfi e Ghibellini: ormai l'Impero, che continuava ad esistere solo nominalmente, di fatto aveva ridotto il suo potere alla sola area germanica.
L'antitesi tra sostenitori della Chiesa e sostenitori dell'Impero si ripropose, tuttavia, all'interno del sopravvissuto partito guelfo.


La parte bianca e la parte nera
Come tutte le altre città italiane, la Firenze del tempo di Dante era dilaniata dalla contrapposizione, spesso molto violenta di due fazioni: i guelfi Bianchi, capeggiati dalla famiglia dei Cerchi, ed i Neri, guidati dai Donati.
La prima scintilla dei contrasti fra Bianchi e Neri divenne presto quasi una leggenda cittadina. Narrano le cronache che Buondelmonte, appartenente ad una nobile famiglia originaria del contado fiorentino, era fidanzato con una fanciulla di casa Amidei, ma, su istigazione di Gualdrada Donati, abbandonò la fidanzata per scegliere una sposa in casa Donati. La consorteria degli Amidei si riunì allora per decidere come rispondere all'offesa ricevuta. Mosca dei Lamberti avrebbe detto "Capo ha cosa fatta", cioè ogni azione ha il suo responsabile. Così Buondelmonte venne ucciso nel 1216 ed iniziarono nella città le contese tra le fazioni contrapposte.

Nel 1300 i Bianchi avevano il controllo di Firenze e, quando i Neri tentarono una sommossa, reagirono in modo altrettanto violento. Dante, di parte bianca ma eletto alla carica pubblica del Priorato, suggerì, con imparzialità, un provvedimento di espulsione degli esponenti più facinorosi dell'una come dell'altra fazione.
La violenza della lotta politica a Firenze stava ormai divenendo preoccupante anche per le pressioni che venivano esercitate dall'esterno.
Il papa Bonifacio VIII, infatti, sosteneva i tentativi dei Neri di prendere il controllo della città ed appoggiava apertamente Corso Donati, che gli era parso, in varie occasioni, disposto a seguire la sua politica. Il papa potè così far entrare in Firenze il principe francese Carlo di Valois, il tristemente noto "paciaro", che il Villani, storico delle vicende fiorentine, ritrae con lapidaria freddezza, densa di sarcasmo e di disprezzo: "venne in Toscana per paciaro, e lasciò il paese in guerra; e andò in Cicilia per fare guerra, e reconne vergognosa pace".
Con il sostegno di Carlo di Valois i Neri presero il sopravvento: i fuoriusciti rientrarono in città e la sottoposero ad un feroce saccheggio, quindi emanarono una serie di provvedimenti volti a consolidare il potere della propria fazione, fra cui le condanne all'esilio degli esponenti più in vista della parte bianca.